La trippa rientra nella tradizione della cucina veronese, come del resto è presente in tutta la cucina veneta ed italiana in genere, ma se ne distingue per il sistema di cottura e per alcune abitudini che neppure il tempo è riuscito a far tramontare. Se in passato la trippa era un alimento per la sopravvivenza, oggi è divenuta un piatto tradizionale legato alla buona tavola e agli antichi sapori. Trippa è un nome generico che comprende la “cuffia” o alveolare, il centopelle, tipica scelta del gusto milanese, il doppione, più grasso, forse, ma più saporito e la cui resa è ottima, in uso per tutti i veronesi della Bassa e delle colline. Negli anni passati, quando un buon piatto di trippa ben cotta, rappresentava anche un pasto completo, sia pure accompagnato da polenta bollente ed esistevano dei locali che periodicamente, almeno due volte alla settimana, si dedicavano alla trippa ed esponevano un cartello con su scritto “oggi trippe”.
Possiamo legare le rigide mattinate d’inverno lungo l’Adige, tra i mulini immersi nella nebbia e il ricordo dei contadini che, in carri scoperti, all’alba erano già per strada a portare i loro magri prodotti al mercato, all’esistenza di numerose osterie dove, con il boccale di vino, si offrivano piatti di bollenti trippe in brodo, corpose, ricche di formaggio, corroboranti, fra “le sette e le dieci del mattino”. Mangiare di popolo, ma frutto di scienza e fantasia. Trippe di bue, di vitello, di manzo, di maiale oppure di puledro, pur nella convinzione veronese che la migliore sia proprio il doppione di manzo.