L’intero nostro territorio, oggi bonificato e reso fertile, fu per vari secoli soggetto ad impaludamento; una situazione che rese difficoltosa l’opera di bonifica e popolamento di gran parte delle Valli Grandi Veronesi. Ciò a causa delle ripetute inondazioni del Tartaro e dei suoi affluenti di destra, come il Tione, e di sinistra, come Frescà, Tregnon, Boldier, Menago, Focchiara, Bussè, Fortezza, Cagliara, Dugalone, Scolo Campagna Diversivo Castagnaro.
Dagli studi climatologici si è riusciti a stabilire che tra il 1400 e il 1300 a.C. una forte e insistente piovosità ha modificato parzialmente o totalmente il corso dei fiumi. Uno di essi fu proprio l’Adige, che deviò verso Sud incanalandosi lungo l’attuale corso del Guà e del Frassinelle fino ad Este. Questa diversione rese difficoltoso lo scolo dei terreni tra i Colli Euganei e i Berici, provocando di conseguenza, l’impaludamento di tutta la zona sottostante. Un altro periodo particolarmente freddo si verificò tra il 900 e il 300 a.C. Mincio e Tartaro deviarono verso oriente: e il Tartaro, immettendosi in parte dell’alveo abbandonato del Po di Adria, diede origine al Canal Bianco.
Etruschi e Romani, sistemarono la rete idraulica dell’intera Padania e, in quest’opera di controllo dei fiumi, con la costruzione di canali e la sopravenuta coltivazione delle terre, contribuì anche il clima che, riscaldandosi, portò i ghiacciai alpini a ritirarsi, tra il 300 e il 400 a.C. Ma fu tra il 400 e il 750 che un nuovo cambiamento di rotta dell’Adige influenzò in maniera definitiva la vita di tutta la zona. Ruppe alla “Cucca”, vicino a Veronella, e il suo corso si spostò nuovamente a Sud. Con la caduta dell’impero romano, queste terre subirono un progressivo abbandono e, nel Basso medioevo, gran parte della pianura era ancora ricoperta da estesi boschi e grandi zone paludose.
Verso l’anno Mille, a sud di Legnago, nell’area che si estendeva fino a Badia Polesine, regnavano sovrane le paludi del Tartaro. Fra acquitrini e boschi, sorgevano alcune isole e, proprio in questo periodo, si riscontrano, nella zona tra Castagnaro e Villa d’Adige, i primi tentativi di bonifica. Siamo verso la metà del 1300; ma tutti gli sforzi per rendere coltivabile il terreno risultarono spesso vani a causa dell’Adige e delle sue continue rotte. Vi è documentazione di una rotta vecchia a Castagnaro, verso la metà del 900 poi della rotta a Carpi, nel XIII secolo, quindi della rotta a Castagnaro, nel XIV secolo.
Ma l’evento più disastroso si verificò con la famosa “Rotta di Castagnaro”, nel XV secolo, che originò il Canale di Castagnaro che convogliava le acque dell’Adige nel fiume Tartaro. Nonostante le continue opere di arginatura e sistemazione, le rotte continuavano a verificarsi; ma, a dir la verità, i tentativi di intervento umano furono per lo più lasciati alle singole private iniziative mancanti di coordinazione e comune intento. Primo per ragioni strategiche: allagata, la zona era difficilmente superabile in caso di attacco nemico; poi, per ragioni politiche: essendo di confine, non interessava più di tanto per le gravi difficoltà che comportava il suo controllo. Quattro erano infatti i fiumi da sorvegliare: Canale Castagnaro, Tartaro, Po e Adige. Vere e proprie opere di bonifica vennero attuate unicamente nel XIX secolo. Per quasi cento anni, dal 1750 al 1830, si fecero studi, progetti, ricerche, analisi per il risanamento della nostra zona, per la regolamentazione o chiusura del Canale Castagnaro e il controllo del Tartaro, ma con pochi e disarmanti risultati.
Nel 1790 si tentò di stabilizzare il livello dell’Adige, divenuto ormai quasi un affluente del Canale Castagnaro, con la costruzione di un “diversivo”, un manufatto posto all’imboccatura di detto canale che regolamentasse il deflusso delle acque nel Canale Bianco. Ma 48 anni dopo, il canale venne chiuso, riscontrata l’impossibilità che il Canal Bianco ne smaltisse le acque.
Considerata la grave situazione, la Direzione Generale delle Pubbliche Costruzioni dell’Imperial Regio Governo decise di allargare il Tartaro e di aprire un nuovo ramo che, partendo poco più a valle della Torretta, immettesse le acque nel Canal Bianco scorrendo, in parte, attraverso l’alveo abbandonato del Canale Castagnaro. Questo nuovo ramo venne chiamato Emissario e, in seguito, Fossa Maestra.
Ritenendo il prosciugamento del comprensorio vallivo fondamentale, l’ingegnere idraulico Antonio Zanella, che ne aveva diretto i lavori, con Decreto Regio del 29 gennaio 1880, affidò tutto il comprensorio al Consorzio Valli Grandi Veronesi e Ostigliesi. Ma, dopo alcuni decenni, in gran parte del comprensorio, circa i 2/3, si dovette ricorrere all’aiuto di impianti idrovori per pompare l’acqua di cui i terreni necessitavano. A dare una importante accelerazione ai lavori di bonifica di queste terre, fu il fascismo. Infatti nel 1928, venne approvata la legge della “bonifica integrale” che portò a completamento alcune opere di bonifica di estrema importanza. La nostra zona stava particolarmente a cuore alle più “alte sfere” perché, una volta completata la bonifica delle immense Grandi Valli Veronesi, ci sarebbe stato un enorme beneficio in colture e occupazione braciantile tanto che lo stesso Ministro dei Lavori Pubblici, Cobolli-Gigli, fece di persona un’ ispezione nelle “Valli”, nel 1938. Durante la Fiera Campionaria di Padova dello stesso anno poi, il Magistrato alle acque di Venezia fece allestire un padiglione interamente dedicato ai lavori compiuti, e da compiersi, nelle campagne del Basso veronese. La questione premeva particolarmente ad un cittadino del Basso veronese nativo di Castagnaro divenuto poi Podestà di Verona, l’onorevole Alberto Donella il quale più volte aveva scritto in merito alla questione su vari giornali e aveva tenuto pure un importante discorso alla Camera dei Deputati, presenti il Capo del Governo, il Ministro dei Lavori Pubblici e altre autorità con cui metteva in risalto l’esigenza della sistemazione delle Valli del Basso veronese e delle loro strade di comunicazione.
Con il 1970 fu ultimato il ri-scavo della Fossa Maestra e il suo alveo venne abbassato di 2 metri per ottenere un miglioramento generale della situazione dei terreni a sinistra della Fossa stessa. Questo lavoro permise di togliere gli impianti idrovori, sostituendoli con chiaviche di libero deflusso delle acque e scarichi liberi attorno ai vecchi impianti di sollevamento. Infine, verso la fine degli anni ’70 del secolo scorso, venne costruito un sostengo, a monte del Ponte della Valle, avente lo scopo di impedire alle acque della Fossa Maestra di immettersi, in caso di piena, nel Canal Bianco.