IL PAESE DEI MULINI
Il fiume Adige che viene ad essere un tutt’uno con il paese di Angiari, ha permesso il nascere e lo svilupparsi di un’attività di grande importanza per questo piccolo centro del Basso Veronese: quella dei mulini sull’Adige. I mulini natanti erano imbarcazioni caratteristiche e tipiche proprio di queste zone, diffuse nel veronese fino al XIX secolo, che permettevano di sfruttare la corrente del fiume per far girare le pale che mettevano in moto una macina posta all’interno del mulino che si trasformava in un ottimo strumento per macinare i prodotti della terra.
Per secoli questo tipo di mulino fu l’unico conosciuto ed utilizzato lungo lo specchio di terra lungo il grande fiume finché, nel Settecento, la famiglia Giustiniani non decise di costruirne uno nuovo, diverso dagli altri detto terragno cioè posto sulla terra ferma e quindi non più sull’acqua. A documentare per primo questa antica attività ad Angiari è stato Bruno Chiappa che attesta come, già nel 1325, venne concesso in locazione decennale da parte del vicario ed amministratore del Comune, un mulino a Fiorio del fu maestro Davide e a Bonomo fu Bericino.
Che l’attività del mugnaio fosse molto diffusa ad Angiari, lo attestano vari documenti. Basti pensare che alla fine del 1500 il paese possedeva ben 18 mulini, il numero più alto di tutti gli altri paesi del Basso Veronese. Una mappa del 1689 relativa alla situazione idrica di Roverchiara ed Angiari, fa capire chiaramente come l’arte dei mulini si fosse molto sviluppata soprattutto grazie all’andamento particolare del fiume proprio in questo tratto. Il mulino natante era un’imbarcazione costituita da uno zatterone che poggiava su tre barconi che venivano chiamati pontoni e che erano attaccati alla riva del fiume grazie ad una robusta catena in ferro. Sopra questa base si trovava la ruota del mulino che veniva mossa dalle acque dell’Adige e, a completare la struttura, vi era una semplice capanna che ospitava le mole del mulino.
Angiari si teneva caro questo lavoro che, pur essendo molto particolare, dava lavoro a tanta gente sia direttamente sia grazie all’indotto. Nella seconda metà del Settecento i mulini erano nove; sette nelle vicinanze del paese e due in località Porto. Fra le varie imbarcazioni vengono ricordate una pila da riso con ben otto piloni ed un “passo volante” che permetteva di collegare le rive del fiume, molto più vicine e molto più unite di adesso. Ed è anche grazie alla storia dei mulini e dei mulinari che possiamo ricostruire la presenza in passato di varie famiglie di Angiari. Infatti agli inizi dell’800, un mulino era di proprietà di Giovanni Banzati, un’altra pila apparteneva a Pietro Valtarini, un mulino apparteneva a Gaetano Bronzato, un altro a Giuseppe Sandrini. Altri proprietari erano Giuseppe Ambroso, poi Massimiliano Carazzoli e Rodolfo Mantovani, poi Petternella e Rinaldo Zonzin, quindi Luigi Pavan, Bortolo Giusti, Gerolamo Sandrini, Paolo Ambroso ed infine Antonio Barbieri.
Con l’avvento della tecnologia ed i metodi più redditizi per la macinazione dei cereali, pian piano i mulini scomparvero e con loro una storia ultracentenaria. Fu come privarsi di un pezzo delle nostre tradizioni e dei nostri segreti ed anche il fiume divenne sempre meno una indispensabile via di comunicazione. Le merci infatti iniziarono a transitare sempre più lungo le vie di terra mentre il fiume divenne sempre meno frequentato. Dei barconi che scendevano lungo l’Adige, rimangono oggi solo nelle fotografie vecchie ed ingiallite che documentano lo splendore di un’epoca ormai scomparsa.